Simeone Morassi: la continuità di una scuola storica e la costruzione di una nuova estetica nella liuteria Italiana
19 nov 2025
Simeone Morassi è oggi una delle voci più autorevoli della liuteria italiana, capace di coniugare una profonda fedeltà alla tradizione con una visione personale e riconoscibile. Cresciuto nella bottega del padre Giobatta, figura chiave della liuteria cremonese del Novecento, ne ha assorbito i princìpi fondanti — il rispetto del legno, la cura assoluta del dettaglio, la centralità del gesto — sviluppando però un percorso autonomo, fatto di ricerca acustica, scelte consapevoli e stile maturo.
Presidente dell’A.L.I. e vincitore di prestigiosi premi internazionali, Morassi osserva da vicino le trasformazioni del settore e contribuisce alla sua evoluzione con il lavoro in bottega, con l’attività istituzionale e con un dialogo continuo con musicisti e colleghi. In questa intervista ripercorre la sua formazione, confronta la propria visione con quella del padre e riflette sul futuro della liuteria italiana nel contesto globale.
Il suo contatto con la bottega è avvenuto molto presto: quali sono i ricordi più significativi della sua formazione giovanile accanto a suo padre?
Parlare dei miei inizi in bottega è come tornare alle radici di tutto. Non sono solo ricordi, ma le fondamenta su cui ho costruito ciò che sono oggi. L’odore delle essenze, dei legni, delle vernici… direi che quei profumi sono la colonna sonora della mia infanzia. Uno dei ricordi più vividi è quando chiesi a mio padre come poter tagliare un legno per il ricciolo da violino. Senza troppe spiegazioni prese la sgorbia e tagliò il materiale come se fosse burro, facendo ruotare l’attrezzo. Rimasi impressionato da quei gesti ampi, vigorosi ed estremamente precisi che tutt'oggi rimangono un unicum e caratterizzano la sua opera.
Quali sono i punti di contatto, e soprattutto le differenze, tra la liuteria di suo padre e il suo approccio personale alla costruzione degli strumenti?
Le radici del mio lavoro risiedono in ciò che mio padre mi ha trasmesso. Mi ha insegnato ad “ascoltare” il legno: la scelta dell’abete e dell’acero rappresenta il primo e forse più importante passo. Mi ha trasmesso la convinzione che non esistano scorciatoie e che ogni fase della costruzione meriti la stessa attenzione meticolosa. Entrambi ci inseriamo nella grande tradizione liutaria italiana, soprattutto cremonese. Se la filosofia della bottega è rimasta invariata, l’espressione e il carattere dei nostri strumenti sono differenti. Mio padre ha sempre sostenuto la necessità di studiare i classici e, partendo da quella scuola, imprimere alle proprie opere una cifra personale.
La sua produzione è volutamente limitata e caratterizzata da legni di risonanza stagionati oltre vent’anni: quali criteri utilizza per scegliere il materiale più adatto?
La scelta del legno è il momento in cui il violino inizia a prendere forma. La stagionatura è certamente un fattore rilevante, ma ancor più lo è la qualità intrinseca dei materiali, che devono essere eccellenti sia dal punto di vista acustico sia estetico. Le caratteristiche fondamentali riguardano la trasmissione del suono attraverso le fibre in senso longitudinale e trasversale, unite a un adeguato peso specifico. Anche la tessitura della vena — con la crescita invernale di colore rosso marcato e di spessore sottile — è un elemento distintivo. Vi sono ulteriori criteri, ma non vorrei entrare troppo nel dettaglio tecnico.
Ha ottenuto numerosi primi premi in concorsi internazionali: quale di questi riconoscimenti ha avuto un impatto particolare sul suo percorso professionale?
Ogni premio è stato un onore e una conferma della validità del percorso intrapreso. Tuttavia, il riconoscimento che ha avuto un impatto particolarmente significativo è stato quello del concorso Wieniawski, svoltosi a Poznań, in Polonia, nel 1996. Oltre alla medaglia d’oro come primo classificato, ho ricevuto il “Grand Prix”, il massimo riconoscimento mai assegnato nella storia del concorso, ottenendo il punteggio più alto sia per il suono sia per la costruzione. Questo risultato ha attirato l’attenzione di solisti, collezionisti e musicisti d’orchestra che, pur conoscendo la storia della famiglia Morassi, vollero provare personalmente i miei strumenti.
È spesso chiamato come giurato in prestigiosi concorsi internazionali: cosa la appassiona di più nello svolgere questo ruolo?
Essere chiamato come giurato rappresenta per me un onore che affronto con grande senso di responsabilità. L’aspetto più stimolante è osservare uno strumento e riconoscerne le influenze stilistiche: la scuola di riferimento, il Maestro che ha formato l’autore, oppure il tentativo del liutaio di esprimere una personalità capace di emergere tra molti strumenti di alto livello.
Negli ultimi trent’anni la liuteria è cambiata profondamente: sono cambiati anche i canoni con cui vengono giudicati gli strumenti nei concorsi ai quali partecipa come giurato?
Negli ultimi trent’anni il numero dei concorsi è aumentato in modo significativo, ma i criteri di giudizio non sono mutati in modo sostanziale. La valutazione tecnica dei liutai è simile a quella del passato, così come il giudizio espresso dai musicisti. Sono tuttavia nati concorsi in cui il suono ha un peso predominante — fino all’80% del punteggio — mentre il lavoro artigianale rappresenta il restante 20%. Altri adottano criteri opposti. Esistono anche concorsi non anonimi, nei quali i liutai partecipanti sono coinvolti direttamente nel giudizio dei colleghi. Ho contribuito alla stesura di diversi regolamenti e uno dei cambiamenti più significativi riguarda l’introduzione di materiali tecnologici — come puntali in carbonio o titanio, tastiere in materiali compositi e cordini in kevlar — nel rispetto di una crescente sensibilità verso l’uso consapevole delle risorse naturali.
Mantiene rapporti costanti con il mondo orientale: come è percepita oggi la liuteria italiana in Paesi come Giappone, Corea e Cina? Che impatto ha il mondo orientale sulla liuteria italiana contemporanea e quali sono, a suo avviso, i principali punti di contatto sviluppatisi negli anni tra queste culture?
Il rapporto tra la liuteria italiana e il mondo orientale rappresenta oggi uno degli scambi più dinamici e significativi per il nostro settore. In Paesi come Giappone, Corea e Cina la liuteria italiana è percepita con un rispetto quasi sacrale: non è solamente un’arte, ma un riferimento culturale ed estetico di altissimo valore. Nomi come Stradivari, Guarneri e Amati possiedono un’aura universale, ma in Oriente questa si traduce in un atteggiamento di vera e propria venerazione, accompagnato da una profonda dedizione allo studio della tradizione italiana.
In questi Paesi la manualità, il rigore tecnico e il culto della precisione sono elementi centrali nella cultura artigiana, e ciò crea una forte affinità con la nostra visione del mestiere. Negli ultimi decenni Giappone, Corea e Cina hanno investito enormemente nella formazione musicale, nella creazione di orchestre e accademie, e nell’acquisto di strumenti di alto livello, inizialmente anche commettendo inevitabili errori di inesperienza. Oggi, invece, rappresentano alcuni dei mercati più maturi, esigenti e raffinati al mondo: non solo acquistano strumenti italiani, ma hanno costruito musei, collezioni e centri di ricerca dedicati alla liuteria classica.
Parallelamente, molti giovani liutai orientali si sono formati in Italia e mantengono un legame stretto con le nostre scuole e le nostre botteghe. Questo scambio ha arricchito entrambe le culture: da una parte l’Oriente ha assimilato la nostra tradizione artistica; dall'altra la liuteria italiana ha trovato nuovi interlocutori capaci di valorizzarla e di contribuire alla sua diffusione internazionale.
Nella sua bottega sono transitati strumenti classici italiani provenienti da tutto il mondo: che cosa si impara osservando e restaurando questi capolavori?
Lo studio degli strumenti classici è di importanza fondamentale. Avere un esemplare antico in laboratorio permette di analizzare le soluzioni adottate dall’autore. È sorprendente osservare come i liutai del passato, pur senza strumenti di misurazione moderni, siano riusciti a interpretare ed esaltare le caratteristiche dei materiali, diversi da strumento a strumento. Esaminando più opere dello stesso autore si riconosce “la mano”, quella gestualità che ritorna nel tempo e che rimane leggibile anche in presenza di variazioni dimensionali. Questo tipo di studio affina notevolmente l’occhio del liutaio, che impara a riconoscere autenticità e personalità di uno strumento.
Quali temi affronta più volentieri nelle lezioni e negli approfondimenti che tiene all’estero sulla costruzione del violino?
Quando mi rivolgo a una platea di colleghi cerco sempre di andare oltre la pura tecnica costruttiva. Il mio obiettivo è condividere l’esperienza che si cela dietro ogni strumento, ogni nuovo progetto. I temi che prediligo sono quelli che uniscono il sapere manuale alla riflessione teorica. Uno degli argomenti centrali è l’uso dei materiali e la loro interpretazione.
Come vede l’evoluzione della liuteria contemporanea e quali sfide principali si presentano per i giovani artigiani? Crede che la liuteria italiana manterrà il suo ruolo di riferimento nel panorama internazionale nei prossimi decenni?
La liuteria contemporanea si trova oggi ad affrontare sfide rilevanti, poiché strumenti di alta qualità vengono ormai realizzati anche al di fuori dell’Italia. La competizione internazionale è cresciuta e richiede un impegno costante per mantenere i livelli di eccellenza che contraddistinguono la nostra tradizione.
Negli ultimi anni, inoltre, le esigenze dei musicisti sono cambiate molto rapidamente. Parametri come la quantità del suono, spesso privilegiata in passato, e la qualità timbrica, talvolta sacrificata, stanno ritrovando un equilibrio più stabile. I musicisti cercano strumenti capaci non solo di proiettare, ma anche di offrire una gamma espressiva più ampia, una risposta più controllabile e una personalità sonora più definita. Questo sta imponendo ai liutai una riflessione profonda sulla costruzione, sulla scelta dei materiali e sulla ricerca acustica.
L’Italia rimane oggi un punto di riferimento mondiale, ma non può permettersi di rallentare: occorre continuare a investire nella formazione, nella ricerca e nella collaborazione tra liutai e musicisti. Solo così potremo mantenere il ruolo di leadership che la nostra tradizione merita.
Lei ricopre anche un importante incarico istituzionale in quanto presidente dell’ALI. Ci può raccontare cosa comporta questa carica e quali sono gli obiettivi che vi siete posti come associazione?
La presidenza dell’ALI non è un titolo onorifico, ma un impegno concreto. Significa assumersi la responsabilità di rappresentare e proteggere un patrimonio culturale unico al mondo: la liuteria italiana. Gli obiettivi principali dell’associazione riguardano la tutela della liuteria artistica d’autore e la trasmissione del sapere tra maestri e giovani liutai. Organizziamo mostre collettive, partecipiamo a fiere internazionali e sosteniamo i nostri associati nel far conoscere il loro lavoro nel mondo, con una visione chiara: la liuteria italiana non solo deve essere preservata, ma deve continuare a crescere con forza, dimostrando di essere un patrimonio vivo e in costante sviluppo.
Nella galleria fotografica il Maestro Simeone Morassi nella sua bottega e l'attestato del “Grand Prix” ottenuto al concorso Wieniawski di Poznań nel 1996
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Filippo Generali
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08/12/2025