Custodire il passato e ricercare nel presente: riflessioni sulla liuteria con il Maestro Giordano
31 ott 2025
Figura poliedrica nel panorama della liuteria contemporanea, Alberto Giordano unisce al sapere artigianale una profonda cultura storica e artistica. Formatosi alla Scuola Internazionale di Liuteria di Cremona sotto la guida di maestri come Bissolotti, Zambelli e Conia, ha poi arricchito il proprio percorso con esperienze internazionali, studi in Conservazione dei Beni Culturali e Storia dell’Arte, fino a diventare il Conservatore di uno degli strumenti più noti al mondo, il Guarnedi del Gesù "il Cannone" (1743), appartenuto a Niccolò Paganini.
La sua visione della liuteria nasce dall’incontro tra pratica, ricerca e riflessione estetica: un modo di intendere lo strumento come oggetto vivo, testimone del passato ma capace di parlare al presente.
Il suo primo contatto con la pratica della liuteria risale ai suoi anni di studio presso la Scuola Internazionale di Liuteria di Cremona, dove ha studiato sotto la guida dei maestri Bissolotti, Zambelli e Stefano Conia, cosa porta ancora con sé di quegli anni?
Ricordi bellissimi: arrivai a Cremona alla Scuola di Liuteria dopo la maturità scientifica nel Settembre del 1980, senza aver mai preso in mano una pialla; ho fatto fatica ad imparare questo mestiere. Dei miei maestri ricordo ancora l’entusiasmo e la dedizione di Vincenzo Bissolotti, che credo fosse al suo primo anno di insegnamento; della maestra Wanna Zambelli il suo carattere gentile e pacato e ancora la ringrazio per la pazienza che ha avuto con me. Da Stefano Conia invece entusiasmo e vitalità; con lui capita ancora oggi di incontrarsi e c’è sempre un grande feeling, un legame profondo che si è mantenuto nel tempo. Un pensiero particolare va inoltre al maestro Gio Batta Morassi il quale, pur non essendo stato suo allievo, negli anni successivi alla scuola mi ha incoraggiato e ha sempre creduto in me.
Quanto ha influito sul suo modo di praticare e di pensare la liuteria l’esperienza vissuta con Joseph Curtin e Greg Alf, due tra i massimi liutai contemporanei?
Fu un’esperienza indimenticabile: nella casa-laboratorio di via Bella Rocca si lavorava, si studiava, spesso si pranzava o si cenava assieme; si suonava assieme. Che si trattasse di costruire strumenti nuovi o di osservare strumenti antichi, c’era sempre un’attitudine profondamente speculativa verso la liuteria: ogni cosa veniva analizzata con attenzione, cercando di comprenderne non solo gli aspetti tecnici, ma anche estetici: ci si chiedeva dove risiedesse la bellezza di uno strumento, ci si interrogava sulla personalità dei loro autori.
In seguito la sua formazione ha coniugato due mondi apparentemente distanti ma profondamente legati: la pratica artigianale e la ricerca storica e culturale. In che modo questo percorso — dalla Scuola Internazionale di Liuteria di Cremona fino alle lauree in Conservazione dei Beni Culturali e Storia dell’Arte — ha contribuito a definire la sua visione della liuteria?
Per mari motivi a un certo punto della vita ho sentito la necessità di approfondire lo studio della conservazione e della storia dell’arte e mi sono iscritto all’Università, facoltà di Lettere e Filosofia. Gli studi hanno influenzato profondamente il mio approccio alla scrittura e alla ricerca e mi hanno permesso di allargare le prospettive e stabilire connessioni. La passione per la storia, la filosofia e le lettere si è intrecciata con il mio mestiere e mi ha aiutato a comprendere meglio il contesto in cui si inserisce la liuteria nella storia dell’arte e della società italiana.
La Sua esperienza come conservatore del Guarneri del Gesù appartenuto a Niccolò Paganini — uno degli strumenti più celebri al mondo — che cosa le ha lasciato sul piano umano e professionale?
Innanzitutto il senso di responsabilità che si deve ad una memoria civica, ad un’opera di tale valore; professionalmente ad affrontare anche le cose più semplici con una concentrazione e con gesti diversi dall’usuale; ho imparato a capire la lentezza del tempo che vive uno strumento musealizzato e quindi a misurare ogni gesto in modo da non disturbarlo da questo lento bioritmo.
Osservando gli strumenti dell’ultimo periodo di Giuseppe Guarneri del Gesù, si ha l’impressione che venissero modificati anche quando erano già stati completati. Le sembra un’ipotesi plausibile? Secondo Lei, che cosa cercava di esprimere o di ottenere l’autore in quelle modifiche?
Credo di sì. Negli ultimi strumenti, ad esempio quello del 1744 che suona il maestro Ughi, si nota come le effe abbiano la parte superiore mal raccordata con la bombatura, come se fossero state modificate dopo: si percepisce un intervento successivo, difficile da capire. Anche se non è dimostrabile, penso, che Guarneri fosse un musicista, un violinista, e che intervenisse sui suoi violini una volta terminati in bianco: li suonava, li provava e probabilmente apportava piccoli aggiustamenti sulla cassa, sulle effe e forse anche sulla sguscia.
In una splendida conferenza da lei tenuta, spiegava come Stradivari avesse creato il suo stile — oggi diremmo “classico” — ponendo la funzionalità dello strumento al centro della progettazione e ispirandosi all’arte pittorica classica romana per la decorazione. Come definirebbe, oggi, la visione di Stradivari rispetto ai suoi contemporanei?
Quello che affascina di Stradivari è la sua capacità innovativa, mantenuta per tutta la vita e per l’intera carriera, che è stata lunghissima: resta sempre calato nella sua contemporaneità, comprendendo le esigenze dei musicisti che lo circondano e della musica che si evolve. Pensiamo al violoncello, che ha completamente ridefinito, creando un disegno personale, consapevole e funzionale. Dal punto di vista decorativo, il tardo barocco sembra non appassionarlo: diversamente da Andrea Amati, le cui decorazioni sono ben inserite nel contesto della pittura padana a lui contemporanea, Antonio Stradivari dimostra un gusto antiquario: s’ispira alle decorazioni “grottesche” della Domus Aurea di Nerone, che avevano influenzato il Cinquecento italiano da Raffaello a Giulio Romano e che poteva vedere riprodotte nei palazzi cremonesi. La decorazione di Stradivari è un’arte disegnativa, non pittorica: i girali e gli ornamenti sono eleganti e sintetici, non sono mai esornativi.
Guarneri del Gesù, che guardava a un passato liutario che nel suo tempo potremmo definire “classico”, come lo classificherebbe? Un ribelle nostalgico? Una sorta di neoclassicista un po’ naïf?
Guarneri del Gesù nella prima fase della sua carriera si ispira a Stradivari: la sua è una garbata ma decisa modernizzazione della tradizione cremonese, in cui si percepisce chiaramente la sua individualità e il suo pensiero: con il tempo questa attitudine classicista si perde, e negli ultimi anni emerge un carattere decisamente espressionista. Le teste degli ultimi strumenti mostrano come decada ogni pretesa estetica o descrittiva: a differenza di Stradivari, che definisce nella scultura dei suoi riccioli la perfetta spirale del capitello ionico, Guarneri comunica direttamente ciò che vuole esprimere disinteressandosi della perfezione della linea. La scultura delle sue ultime teste appare cruda, a volte quasi caricaturale, finita con smussi anneriti a inchiostro su vernice arancio brillante; probabilmente i suoi clienti si divertivano di fronte a questa bizzarria, che a noi suona così trasgressiva.
Nella liuteria contemporanea, come si intrecciano innovazione e tradizione?
Lo sviluppo negli ultimi anni delle varie tecniche diagnostiche ha aumentato considerevolmente la conoscenza delle capacità funzionali del violino e della sua architettura, e questo sta avendo un riflesso importante sulla liuteria contemporanea. Gli strumenti storici sono divenuti la base per lo studio strutturale e funzionale della liuteria e sono oggi il riferimento principale per ogni liutaio. Forse fin troppo: si costruiscono strumenti su pochissimi modelli rispetto allo sterminato repertorio disponibile. Come nel caso di Stradivari di cui vediamo infinite serie del “Messia” e del “Cremonese” e solo raramente vengono affrontati modelli di altri periodi.
Il giovane vincitore dell’edizione e di quest’anno del Premio Paganini, Aozhe Zhang, imbracciava un ottimo strumento di liuteria contemporanea (Piero Virdis, 2019), si è conquistato il primo posto confrontandosi con strumenti di liuteria classica: cosa ci può dire a riguardo?
Quello che è accaduto a Genova con la vittoria del diciassettenne violinista di Shanghai è, a mio avviso, un segnale bellissimo per la liuteria contemporanea. Un ragazzo che parte dal Conservatorio con il suo bel violino nuovo, arancione, lucido, sale sul palco del Premio Paganini e vince il concorso suonando uno strumento costruito nel 2019. È un messaggio fortissimo: dimostra che uno strumento contemporaneo, economico se paragonato all’antiquariato, può competere — e vincere — ai massimi livelli internazionali anche contro strumenti classici di valore. Credo sia anche un messaggio liberatorio per molti giovani musicisti, che spesso si sentono in difficoltà perché non dispongono di strumenti antichi e vivono con il timore di essere per questo discriminati.
Come vede il futuro della liuteria italiana? Quali consigli darebbe alle nuove generazioni di liutai italiani?
Il futuro dipende dalla nostra capacità di interpretare la tradizione senza trasformarla in una gabbia. Dobbiamo interpretare piuttosto che copiare; occorre lavorare sula personalità, sulle idee. Andando sul pratico, suggerisco di abbandonare ogni semilavorato e di prepararsi i propri filetti, creare e realizzare montature personali che possano rendere identificabile il proprio stile.
Altri consigli? Sfruttare le possibilità che oggi abbiamo di studiare gli strumenti, non solo i classici ma anche quelli dell’Ottocento, del Novecento che sono ricchi di contenuti, di idee e di stile.
Oggi si guardano troppe foto, si abusa di modelli fotografici, con il risultato che lo strumento perde spontaneità, diventa rigido, rimane dominato dall’immagine grafica piuttosto che dalla realtà scultorea. Il problema è proprio questo: il referente non è più l’oggetto, ma la sua rappresentazione fotografica: così il violino finisce per somigliare non tanto all’originale che si vuole evocare, quanto ad una sua versione impoverita o peggio seriale. Osservare quindi, studiare e soprattutto toccare con mano: questa è la chiave per costruire strumenti vivi, autentici, capaci di parlare al presente restando radicati nella nostra storia.
Nelle foto:
- Il ritratto fotografico del Maestro
- Consegna del violino J.B. Vuillaume “ex Paganini-Sivori” al violinista Teo Gertler, Ottobre 2025
- In giuria al 5th China International violin making and bow making competition May 2024
- Sul banco da lavoro
- Allo stand dell’ALI per la “Fole Journèe” a Tokyo, Maggio 2025
- Consegna del “Cannone” al vincitore dell'edizione del 2025 del Premio Paganini Aozhe Zhang sul palcoscenico del Teatro Carlo Felice
- Con il “Cannone” e il violinista Simon Zhu dialoga con Re Carlo II, Ottobre 2024
Galleria fotografica
Filippo Generali
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07/12/2025